martedì 6 dicembre 2011

IL CRICETO ANOMALO

Questa settimana sono troppo furiosa con Dementalist per scrivere di lui e attingendo alla vena di acidità che mi spunta in fronte quando sono molto, ma molto arrabbiata, vi dirò anche che a far del bene si finisce sempre male.
A questo proposito vorrei raccontarvi una storia.
Era una notte buia e tempestosa … Beh, sì, insomma, pioveva un sacco ed era di sera. Una avvenente fanciulla bruna esce tutta sola per portare a spasso il suo splendido cane … Ok, ero io e il cane era anche abbastanza brutto. E va bene, la smetto con la terza persona. Comunque, trascinando il cane sotto la pioggia, passo di fianco a tre bidoni della spazzatura. Incastrata tra due di questi bidoni, illuminata da un lampo, vedo con la coda dell’occhio una teca di vetro. Dalla teca, due occhietti vispi mi fissano … Oddio, qualche criminale ha abbandonato un criceto vivo in mezzo all’immondizia e sotto il diluvio!
Il dubbio mi strazia: non posso lasciare l’animaletto indifeso lì, però … E però i roditori mi fanno cordialmente schifo. In preda all’ansia, telefono a papà a Bologna per chiedere consiglio. Il daddy, che conosce i suoi polli, trova la soluzione. Mi consiglia di prendere il criceto con tutta la teca, posizionarla in cantina e il giorno dopo portarlo al negozio di animali. Così non ce l’ho in casa, ma almeno evito il senso di colpa per non averlo salvato.
Al che, torno a casa, lascio il cane e mi infilo i guanti per lavare i piatti, che a mani nude mi faceva un po’ schifo. Torno giù. Provo a sollevare la teca. Niente da fare, è troppo pesante, non ce la faccio da sola. Ora, forse alcuni di voi avranno iniziato a pensare che ci sono diversi elementi un po’ strani e che avrebbero dovuto farmi riflettere, ma purtroppo ero presa dalla missione … E poi era molto buio, ripeto!
Decido perciò di suonare il campanello di quello del sesto piano, che ha un cane e magari è più disposto a darmi una mano. Mi apre la moglie che mi guarda già storto … Sarà perché stavano per mettersi a tavola? No, è che ho ancora i guanti di gomma sopra il cappotto. Acchiappo il marito per un braccio e andiamo.
Ci siamo, io la sollevo da una parte e lei dall’altra, ok? Al mio tre. Uno, due, tre!
Ed è proprio alzando finalmente la teca, che questa, illuminata da un lampione, rivela il suo contenuto.
A fissarmi da dietro il vetro c’è il cadavere di un gigantesco pitone e un vivissimo, enorme, ratto da laboratorio bianco con malevoli occhi rossi e coda chilometrica.
Senza dire una parola, avvolti dall’odorino che si sprigionava da questo delizioso quadretto bucolico, io e il vicino mettiamo giù la teca, apriamo il portone e prendiamo l’ascensore, il tutto in un silenzio di morte.
Me lo sogno ancora la notte. E ho ancora paura che il ratto venga a cercarmi, per vendicarsi del fatto che l’ho lasciato lì.

Ah, comunque poco dopo HO TRASLOCATO.

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