venerdì 13 settembre 2013

EFFETTI COLLATERALI

Eccoci qua, di nuovo a casa a spassarcela alla grandissima.
Non starò certo qua a lamentarmi di aver passato un mese in Messico, peeeeerò…
Però lasciate almeno che vi dica che la cosa ha i suoi effetti collaterali.
Sorvoliamo sui più classici come la depressione grave per esser tornata in questa valle di lacrime dove per altro la sera devo già mettermi le maniche lunghe perché “fa freschino”. Lasciamo stare anche il fatto che dopo un mese di festa no stop ho delle crisi di astinenza da party di una certa importanza e se nel weekend le affronto mettendo in croce CHIUNQUE (no, ma CHIUNQUE, ieri ho chiesto anche al giornalaio cosa si faceva venerdì) perché mi porti a fare un po’ di baldoria, in settimana è pure peggio. Roba che mi abbasso a obbligare il cane a fare il trenino in salotto.
Detto ciò, i sintomi che mi danno più problemi sono: il jet lag, le scarpe e il lessico.
E lo so che starete già pensando: Il jet lag? Baaaaanale! Sarà anche banale, cari miei, ma scoprirete presto anche voi, miei stagionati virgulti, che poche cose vi fanno capire che ne avete viste di primavere come l’amico jet lag. Che fino a due anni fa nel giro di 24 ore ero un fiore. Stavolta ho passato due settimana con la faccia che sembrava un quadro di Picasso. Appeso al contrario.
Le scarpe? Le scarpe. Provate voi a passare un mese scalzi o al limite, quando proprio proprio volete fare gli strafashion, con le infradito di plastica e poi ricominciate a mettere le scarpe. Storie di torture stile Guantanamo, altroché. Storie che in aereo non ho OSATO toglierle per non doverle rimettere. E ancora mi aggiro per la città con l’andatura di un travestito che si sta allenando a mettere i tacchi. Solo che io ho le All Star.
E veniamo al piatto forte. Il lessico. Dopo un mese passato a conversare amabilmente nel raffinato spagnolo dei peggiori ignoranti di Playa del Carmen, me ne sono tornata con una parlata tutta mia. Cioè, praticamente non parlo più italiano, per farla breve. I risultati sono due: o mi perdo con lo sguardo nel vuoto a metà di una frase mentre il mio cervello cerca disperatamente (e infruttuosamente, il più delle volte) il sinonimo italiano della parola che ho chiarissima solo in spagnolo o improvviso.
“Improvviso” significa che non me ne accorgo e infilo serenamente vaccate in un terrificante misto italiano-spagnolo in ciò che sto dicendo.
Esempi pratici:
“Stasera SALIAMO?”  (salir=uscire)
“Non siamo riuscite ad entrare perché c’era un CHINGO di gente!” (chingo=un sacco)
“Ho sbattuto contro il PINCHE tavolino del salotto…” (pinche=cazzo di)
Tutto a posto finché non vedo la faccia da “MA CHE CAZZO DICI?!” del mio interlocutore.
E allora la mia di faccia diventa QUESTA:




Anche perché ovviamente non ho idea di  CHE CAZZO HO DETTO.

BENTORNATA va’.

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