Eccoci qua,
di nuovo a casa a spassarcela alla grandissima.
Non starò
certo qua a lamentarmi di aver passato un mese in Messico, peeeeerò…
Però
lasciate almeno che vi dica che la cosa ha i suoi effetti collaterali.
Sorvoliamo
sui più classici come la depressione grave per esser tornata in questa valle di
lacrime dove per altro la sera devo già mettermi le maniche lunghe perché “fa
freschino”. Lasciamo stare anche il fatto che dopo un mese di festa no stop ho
delle crisi di astinenza da party di una certa importanza e se nel weekend le
affronto mettendo in croce CHIUNQUE (no, ma CHIUNQUE, ieri ho chiesto anche al
giornalaio cosa si faceva venerdì) perché mi porti a fare un po’ di baldoria,
in settimana è pure peggio. Roba che mi abbasso a obbligare il cane a fare il
trenino in salotto.
Detto ciò, i
sintomi che mi danno più problemi sono: il jet lag, le scarpe e il lessico.
E lo so che
starete già pensando: Il jet lag? Baaaaanale! Sarà anche banale, cari miei, ma
scoprirete presto anche voi, miei stagionati virgulti, che poche cose vi fanno
capire che ne avete viste di primavere come l’amico jet lag. Che fino a due
anni fa nel giro di 24 ore ero un fiore. Stavolta ho passato due settimana con
la faccia che sembrava un quadro di Picasso. Appeso al contrario.
Le scarpe? Le
scarpe. Provate voi a passare un mese scalzi o al limite, quando proprio
proprio volete fare gli strafashion, con le infradito di plastica e poi
ricominciate a mettere le scarpe. Storie di torture stile Guantanamo, altroché.
Storie che in aereo non ho OSATO toglierle per non doverle rimettere. E ancora
mi aggiro per la città con l’andatura di un travestito che si sta allenando a
mettere i tacchi. Solo che io ho le All Star.
E veniamo al
piatto forte. Il lessico. Dopo un mese passato a conversare amabilmente nel
raffinato spagnolo dei peggiori ignoranti di Playa del Carmen, me ne sono
tornata con una parlata tutta mia. Cioè, praticamente non parlo più italiano, per
farla breve. I risultati sono due: o mi perdo con lo sguardo nel vuoto a metà
di una frase mentre il mio cervello cerca disperatamente (e infruttuosamente,
il più delle volte) il sinonimo italiano della parola che ho chiarissima solo
in spagnolo o improvviso.
“Improvviso”
significa che non me ne accorgo e infilo serenamente vaccate in un terrificante
misto italiano-spagnolo in ciò che sto dicendo.
Esempi pratici:
“Stasera
SALIAMO?” (salir=uscire)
“Non siamo
riuscite ad entrare perché c’era un CHINGO di gente!” (chingo=un sacco)
“Ho sbattuto
contro il PINCHE tavolino del salotto…” (pinche=cazzo di)
Tutto a
posto finché non vedo la faccia da “MA CHE CAZZO DICI?!” del mio interlocutore.
E allora la
mia di faccia diventa QUESTA:
Anche perché
ovviamente non ho idea di CHE CAZZO HO
DETTO.
BENTORNATA
va’.
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